LA CURA DEL SILENZIO
Delle cose segrete sono il silenzio e del saggio la saggezza
(Bhagavad-gita X.38)
“Il silenzio è l’elemento più importante negli atti profondi e segreti che sono l’ascolto, il pensiero e la meditazione, perché conduce a un rapido progresso” – scriveva Shrila Prabhupada nel commento al verso 38 del X capitolo della Bhagavad-gita.
Tutte le Tradizioni attribuiscono al silenzio un carattere di sacralità: le verità più preziose sono quelle non dette, poiché nell’ombra e nel buio si sviluppano gli aspetti più nobili dell’esistenza.
Eppure, per molti, il silenzio è molto pesante da sostenere, forse perché siamo abituati a tenere per noi solo ciò che non ci perdoniamo, mentre non appena facciamo qualcosa di buono o ci succede qualcosa di bello non vediamo l’ora di raccontarlo ai quattro venti, distruggendo così l’incanto di ciò che ci è accaduto.
Invece il silenzio e il segreto ci restituiscono la nostra dimensione umana e ci fanno riscoprire la profondità insondabile e meravigliosa del nostro essere.
La nostra mente razionale avvolge la realtà, la nasconde, la definisce; il silenzio apre invece la porta alla mente silenziosa, alla coscienza profonda che non giudica, non categorizza. E predispone a un ascolto vero del mondo.
In particolare, la medicina psicosomatica consiglia la “cura del silenzio” per conservare spazi di crescita personali, per coltivare e proteggere i nostri sogni e i nostri progetti, proprio come un seme che solo nel buio può germogliare.
Scriveva l’abate Joseph Antoine Toussaint Dinouart nel suo classico del 1771 “L’Arte di tacere”: “Esiste un momento per tacere, così come esiste un momento per parlare. Nell’ordine, il momento per tacere deve sempre venire prima: solo quando si sarà imparato a mantenere il silenzio, si potrà imparare a parlare rettamente. In realtà è bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio”.
“Il silenzio è venuto prima della parola e la parola è sorta dal silenzio come la vita dalla morte”, ha affermato lo psicoanalista austriaco T. Reik.
Lo stesso Freud contemplò la possibilità di una comunicazione tra soggetti umani attraverso la telepatia, senza l’uso della parola.
“Quando due persone comunicano” - sosteneva lo psicoanalista ungherese S. Ferenczi – “lo fanno sempre a due livelli, di cui uno più profondo”. Quello che gli psicologi pragmatisti avrebbero in seguito chiamato la “metacomunicazione”, per Ferenczi era il “dialogo rilassato”. L’altro livello, linguistico, veniva da lui definito “comunicazione attenta”.
Anche la Scienza dello Yoga contempla vari livelli di comunicazione, che a loro volta sottendono vari piani di realtà: “Secondo la Tradizione Vedica l’universo è costituito di psiche, è energia psichica in espansione, un pensiero complesso la cui condensazione è il mondo fisico, nel quale si esercita l’esperienza empirica. I livelli di percezione della realtà secondo lo Yoga sono sette e sono detti bhumi.
La prima bhumi è nama, la conoscenza nominale di un oggetto, lo stadio più basso di consapevolezza, che consiste nel conoscere le cose attraverso i loro nomi.
Al secondo livello troviamo rupa, che riguarda la conformazione esteriore di un oggetto, la sua forma e colore. Queste prime due bhumi sono particolarmente collegate tra loro, infatti il nome evoca la forma e viceversa.
La terza bhumi è detta vibhuti, che indica la manifestazione di una cosa, ovvero il modo in cui essa si presenta. Se si trattasse ad esempio di un fuoco, sarebbe caldo e luminoso.
La quarta bhumi è la shakti, l’energia alla base delle qualità di un oggetto. Nel caso del fuoco, le sue shakti sono la luce e il calore.
La quinta bhumi si riferisce al guna, l’aspetto energetico-archetipo di una determinata realtà.
La sesta bhumi si riferisce allo “stato di essenza” delle cose, detto bhava.
E’ come se, spogliando l’oggetto di ogni sua caratteristica esteriore, dalla più tangibile alla più sottile, rimanesse soltanto l’oggetto in sé. Il successivo ed ultimo livello di conoscenza è svarupa, la reale, originaria natura di quell’oggetto, la sua forma eterna ed immutabile.
Secondo la psicologia yoga, essere consapevoli e capaci di discernere correttamente e senza interruzione la realtà, conduce al superamento di ciascun livello di conoscenza, dal più basso, quello nominale (nama), a quello più elevato, svarupa”.
(tratto da: Marco Ferrini, “Pensiero, Azione, Destino”,CSB, 2004).
“Tutte le Tradizioni Spirituali considerano la scelta consapevole del silenzio un esercizio fondamentale per lo sviluppo delle qualità più nobili dell’essere umano.
In Sanscrito il silenzio spiritualmente motivato viene definito con l’espressione mauna, ben lontano dal silenzio connotato da emozioni negative, quali la timidezza, la rabbia o l’indifferenza.
Mauna può essere applicato a diversi livelli: vak mauna (semplice rinuncia a parlare), kashta mauna (rinuncia a qualsiasi forma di comunicazione), maha mauna (rinuncia assoluta a qualsiasi attività mentale). Può essere praticato per brevi periodi o per tutta la vita e ha sempre lo stesso fine: il raggiungimento del silenzio interiore e la pace della mente al fine di riconnettersi con il proprio eterno Sé.
L’uomo è costituito da cinque kosha (o involucri): il corpo fisico (annamayakosha), l’energia vitale (pranamayakosha), la mente (manomayakosha), l’intelletto (vijnanamayakosha) e la beatitudine (anandamayakosha). All’interno dei cinque kosha risiede il Sé (atman). Secondo la dottrina yoga, oltre la materia e al mondo fenomenico, esistono altri piani e livelli di realtà, più sottili, più veri ed estesi, immortali. Riducendo al silenzio i kosha, ovvero trascendendoli, l’uomo raggiunge il samadhi, l’assorbimento della coscienza nel Sé. La ricerca dell’equilibrio si basa sul riconoscimento del ritmo della vita fondato sul bilanciamento degli opposti: inspirazione-espirazione; sonno-veglia; parlare-tacere. L’uno non può fare a meno dell’altro; la qualità dell’uno influenza e determina la qualità dell’altro. Trovare un ritmo sano e benefico è il mezzo attraverso il quale ci orientiamo verso la piena consapevolezza della nostra vera natura di esseri spirituali.
E’ abbastanza evidente che la maggior parte delle persone sia molto più incline a parlare che a stare in silenzio. Socrate affermava che dovremmo comunicare con gli altri solo se le nostre parole rispecchiano la pura verità, la bontà e la bellezza e solo se sono di sicura utilità.
Molti maestri spirituali sottolineano come il molto parlare indebolisca la capacità di concentrazione e di meditazione, renda la respirazione superficiale ed irregolare e finisca col “bruciare” energie e provocare stanchezza. Il mauna, invece, indirizza l’energia della parola in ojas, l’essenza vitale che pervade tutti i tessuti. E’ importante quindi crearsi oasi di silenzio e di riposo della mente, pur non trascurando i nostri obblighi di comunicazione con l’esterno.
Non dobbiamo imporci il silenzio, ma abituarci gradualmente a scoprirne i benefici. L’esercizio del silenzio consapevole praticato in coppie, in gruppo, o in comunità numerose, può riservare momenti di straordinaria scoperta di piani ed energie nuove, quali un senso di libertà, di pace e di riposo simili a quelli che proviamo quando passeggiamo da soli nella natura o in silenzio svolgiamo semplici attività quotidiane.
Ciò che in noi parla incessantemente è l’Ego. Il sé supremo è eternamente silenzioso”. (liberamente tratto da https://didomizioalex.wordpress.com, ricerca di Anna Orsini).
Patanjali, il grande studioso compilatore degli Yoga Sutra, individua - tra le regole etiche basilari per praticare in modo corretto l’arte dello Yoga – il principio dell’ascesi, tapas, traducibile anche come “austerità, capacità di accettare volontariamente alcune restrizioni materiali per ottenere benefici superiori”.
Si narra che Brahma, il padre di tutti gli esseri e il primo essere creato nell’universo, confuso sulla sua origine e sulla sua vera identità, udite le sillabe divine ta-pa, che risuonarono nello spazio infinito, comprese di doversi impegnare nella meditazione prima di generare il cosmo intero e tutti gli esseri viventi. La disciplina della parola costituisce quindi una pratica indissolubilmente connessa alla ricerca spirituale.
Il silenzio è anche la condizione imprescindibile per predisporsi all’ascolto.
L’ascolto (delle glorie del Signore) è una delle nove pratiche devozionali classiche della Tradizione Bhaktivedantica (le altre otto sono il ricordo, il canto, il servizio, l’adorazione, la preghiera, l’amicizia, l’umiltà e l’abbandono a Dio).
Nel suo libro “Le Qualità del Ricercatore Spirituale”, Marco Ferrini, presidente e fondatore del Centro Studi Bhaktivedanta, analizzando le ventisei virtù che ognuno di noi dovrebbe sviluppare per vivere in armonia con sé stessi e con le leggi cosmiche universali, citate e trattate nei due testi cardine della Tradizione Gaudiya Vaishnava, cioè la Bhagavad-gita e la Caitanya-caritamrita, così si esprime: “Il devoto è definito mauni, silenzioso, perché non ha alcun desiderio di dibattere temi che non riguardano la realizzazione spirituale e che non portano ad illuminare la via per il ritorno a Dio. Mauni significa anche tolleranza e rispetto per gli altri, anche per coloro che hanno la tendenza ad intrattenere gli altri con argomenti futili. In questi casi il silenzio vale molto più della parola, come il digiuno ha più valore rispetto ad un pasto immangiabile”.
“La vita è quello che succede mentre sei impegnato a fare altri progetti”, cantava John Lennon in un pezzo dedicato al figlio, riprendendo un antico motto del sufismo. Tutti presi dall’inseguire modelli esterni, ripetiamo continuamente parole vuote.
Il nostro mondo interno non si stanca mai di farsi sentire, anche quando ci incaponiamo lungo sentieri che non ci appartengono: ci richiama con una crisi, con una malattia, con un dissesto finanziario, con un’improvvisa perdita dei nostri falsi punti di riferimento, ma il più delle volte non lo ascoltiamo perché abbiamo la testa piena di preconcetti e di frasi fatte.
Per disintossicare la mente occorre curarsi con il silenzio.
Scrive Jung: “La solitudine è per me una fonte di guarigione che rende la mia vita degna di essere vissuta. Il parlare è spesso un tormento per me e ho bisogno di molti giorni di silenzio per ricoverarmi dalla futilità delle parole”.
Solo nel silenzio può emergere ciò che siamo, perché le parole non fanno altro che ingolfare il nostro motore interno, così come sassolini gettati su una sorgente corrono il rischio di otturarla. Nell’assenza di parole, invece, possiamo udire la nostra voce interiore, che conosce quello che ci serve per stare bene e di continuo ce lo ricorda.
Se vuoi capire l’altro non ascoltare le parole che dice ma quelle che non dice. Tace in noi ciò che è vero, parla ciò che è acquisito.
Khalil Gibran
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TRANSLATION IN ENGLISH:
Of secret things are the silence and wisdom wise
(Bhagavad-gita X.38)
"Silence is the most important element in the deep and secret acts that are listening, thinking and meditation, because it leads to rapid progress" - Srila Prabhupada wrote in the commentary on verse 38 of the tenth chapter of the Bhagavad-gita.
All Traditions attributed to silence a sacred character: the most precious truths are unspoken, because the shadows and darkness develop the noblest aspects of existence.
Yet, for many, the silence is very heavy to bear, perhaps because we are used to keep to ourselves just what we do not forgive, but as soon as we do something good, or something good happens we can not wait to tell it to the four winds, thus destroying the charm of what has happened to us.
Instead the silence and secrecy give us back our human dimension and make us rediscover the unfathomable depths of our being and wonderful.
Our rational mind envelops the reality, hides, calls it; Silence opens the door to the silent mind, the deep consciousness that does not judge, does not categorize. It predisposes to a real world listening.
In particular, the psychosomatic medicine recommends the "silent treatment" to maintain personal growth opportunities, to cultivate and protect our dreams and our projects, just like a seed that can germinate only in darkness.
He wrote the Abbot Joseph Antoine Toussaint Dinouart in his 1771 classic "The Art of silence": "There is a time to keep quiet, as there is a time to speak. In the order, the time for silence should always come first: only when you will have learned to keep silent, you will learn to speak correctly. In fact it is good to speak only when you have to say something that is worth more than the silence ".
"The silence came before the word and the word arose from the silence as life and death," said the Austrian psychoanalyst Theodor Reik.
Freud himself contemplated the possibility of a communication between humans through telepathy, without the use of the word.
"When two people communicate" - he claimed the Hungarian psychoanalyst Ferenczi - "have always ensured at two levels, one of which is deeper." What the pragmatists psychologists would later call the "meta" to Ferenczi it was the "relaxed dialogue." The other level, language, was defined by him as "careful communication."
The Science of Yoga also includes various levels of communication, which in turn underlie the various planes of reality: "According to the Vedic tradition, the universe is made up of the psyche, psychic energy is expanding, a thought complex whose condensation is the physical world in which it exercises the empirical experience. The levels of perception of reality according to the Yoga are seven and are called bhumi.
The first bhumi is nama, the nominal knowledge of an object, the lower stage of awareness, which consists in knowing things by their names.
At the second level are rupa, which covers the outer shape of an object, its shape and color. These first two bhumis are particularly connected to each other, in fact the name evokes the form and vice versa.
The third bhumi is called vibhuti, indicating the manifestation of one thing, that is the way it presents itself. If it were such a fire would be warm and bright.
The fourth bhumi is the shakti, the energy at the base of the quality of an object. In case of fire, his shakti are the light and the heat.
The fifth bhumi refers to the gunas, the energy-archetypal aspect of a given reality.
The sixth bhumi refers to the "state of essence" of things, called bhava.
And 'as if, stripping the object of all his outward characteristic, from the tangible to the thinner, he remained only the object itself. The next and final level of knowledge is svarupa, the real, original nature of that object, its eternal and immutable form.
According to the psychology of yoga, be aware and able to discern properly and without interruption reality, it leads to the passing of each level of knowledge, from the lowest, the nominal (nama), to the highest, svarupa ".
(Taken from: Marco Ferrini, "Thought, Action, Destiny", CSB, 2004).
"All spiritual traditions consider the conscious choice of silence a critical year for the development of the most noble human qualities.
In Sanskrit the silence spiritually motivated is defined with the Mauna expression, far removed from silence characterized by negative emotions, such as shyness, anger or indifference.
Mauna can be applied at different levels: Vak Mauna (simple renunciation to speak), Mauna kashta (waiver of any form of communication), maha Mauna (absolute waiver of any mental activity). It can be practiced for short periods or for life and always has the same goal: achieving inner silence and peace of mind in order to reconnect with your eternal Self.
Man is made up of five kosha (or enclosures): the physical body (annamayakosha), vital energy (pranamayakosha), mind (manomayakosha), intellect (vijnanamayakosha) and bliss (anandamayakosha). Within the five kosha resides the Self (atman). According to the Yoga doctrine, beyond matter and the phenomenal world, there are other plans and levels of reality, more subtle, more real and extensive, immortal. Silencing the kosha, or transcending, man attains samadhi, the absorption of consciousness in the Self. The search for balance is based on the recognition of the rhythm of life based on the balance of opposites: inhale-exhale; sleep-wake; talk-silence. One can not do without the other; The quality of one influence and determines the quality of the other. Find a healthy and beneficial rhythm is the means by which we orient ourselves toward full consciousness of our true nature as spiritual beings.
It 'pretty obvious that most of the people is much more inclined to talk than to be silent. Socrates said that we should communicate with others only if our words reflect the truth, goodness and beauty, and only if they are safe utility.
Many spiritual teachers emphasize that the very mention weakens the ability of concentration and meditation, makes the superficial and irregular breathing and ends with the "burn" energy and cause fatigue. The Mauna instead, directs the energy of the word in Ojas, the vital essence that pervades all tissues. It 'important to create an oasis of silence and rest of mind, while not neglecting our reporting obligations with the outside.
We must not impose silence, but gradually get used to discover its benefits. The exercise of conscious silence practiced in pairs, in groups, or in many communities, can reserve moments of extraordinary discovery of plans and new energies, such as a sense of freedom, of peace and rest similar to those we experience when we walk alone in kind or in silence simple everyday tasks we perform.
What in us incessantly speaks is the Ego. The supreme self is eternally silent. " (From https://didomizioalex.wordpress.com, looking for Anna Orsini).
Patanjali, the great scholar, compiler of the Yoga Sutras, identify - among the basic ethical rules to practice properly the Art of Yoga - the principle of asceticism, tapas, also translated as "austerity, ability to voluntarily accept some material restrictions get superior benefits. "
It is said that Brahma, the father of all beings and the first to be created in the universe, confused about its origin and its true identity, hear the ta-pa divine syllables, which sounded in the infinite space, including of having to engage in meditation before generating the entire cosmos and all living beings. The discipline of the word is thus a practical inextricably linked to the spiritual search.
Silence is also a prerequisite in order to prepare to listen.
Listening (the glories of the Lord) is one of nine classic devotional practices of Bhaktivedantica Tradition (the other eight are the memory, the singing, the service, worship, prayer, friendship, humility and l ' surrender to God).
In his book "The Quality of Spiritual Researcher", Marco Ferrini, Founder and President of Centro Studi Bhaktivedanta, analyzing the twenty-six virtues that each of us should develop to live in harmony with themselves and with the universal cosmic laws, cited and discussed in two key texts of the Gaudiya Vaishnava tradition, that is, the Bhagavad-gita and Caitanya-caritamrta, puts it this way: "the devotee is defined Mauni, quiet, because he has no desire to discuss issues that do not concern self-realization, and who do not carry to light the way for the return to God. Mauni also means tolerance and respect for others, even for those who have a tendency to entertain others with trivial matters. In these cases, silence is worth much more than the word, such as fasting has more value than an inedible meal. "
"Life is what happens while you're busy making other plans," he sang John Lennon in a piece dedicated to his son, taking up an ancient motto of Sufism. All taken from pursuing external models, we repeat constantly empty words.
Our inner world never tires to be heard, even when there incaponiamo along paths that do not belong: calls us with a crisis, with a disease, with a financial collapse, with a sudden loss of our false reference points, but more often than not we listen because we have a head full of preconceptions and clichés.
To detoxify the mind must be cured with silence.
Jung writes: "Loneliness is for me a source of healing that makes my life worth living. The talk is often an ordeal for me and I need to be hospitalized for several days of silence by the futility of words. "
Only in silence can emerge what we are, because words do nothing but hog our internal engine, as well as stones thrown over a spring run the risk of otturarla. In the absence of words, however, we can hear our inner voice, who knows what we need to stay healthy and continually reminds us.
If you want to understand the other does not listen to the words he says but what he does not say. Silent in us what is true, he speaks what is acquired.
Khalil Gibran
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